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La musica a cui si riferisce il titolo di questo libro è, da una parte, la musica che Jean-Jacques Rousseau ascoltò fin da bambino commuovendosi fino alle lacrime e che lo consolò nelle difficoltà dell’età avanzata: musica semplice e piacevole, “naturale” come egli la dice; ed è anche la musica “imitativa”, musica d’arte raffinata e complessa di cui seppe descrivere le dinamiche tecniche e linguistiche nel loro percorso storico e indovinarne il futuro sviluppo; ma è soprattutto l’idea di musica da lui elaborata all’interno della riflessione sull’origine, sulle società, sui linguaggi, e a cui affidò la proiezione del suo io inquieto. Musica risonante e musica teorizzata interagiscono già nella prima prova pubblica di Jean-Jacques Rousseau, la presentazione all’Acadèmie des Sciences parigina di un nuovo sistema di notazione, e nel suo primo scritto pubblicato che lo spiegava nei dettagli e nelle motivazioni. Così sarà in tutte le sue prove musicali fino al Pygmalion quando l’altezza del compito affidato all’artista – la conciliazione di natura e cultura – lo sgomenta tanto da indurlo al silenzio.
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Un’inedita esplorazione dell’itinerario artistico di Martino Traversa, compositore apolide della musica contemporanea italiana. La sua produzione coniuga un ardito neomodernismo – esito personalissimo della ricezione del “secondo” Boulez – con una urgenza retrospettiva, vissuta come frangia estrema del debussysmo e del ravelismo. Erma bifronte tra utopia e nostalgia, persegue un rigoroso costruttivismo sonoro sia nelle opere solistiche, cameristiche e sinfoniche sia nel versante elettronico ed elettroacustico. Profondamente avverso a qualsiasi radicalismo concettuale o anti-musicale, ha coltivato un cammino compositivo autonomo, fuori dagli schemi e lontano dalle accademie, guardando più all’Europa che all’Italia. Ne delinea il composito ritratto la struttura quadripartita e pluridisciplinare del volume: sei contributi musicologici affidati, oltre ai due curatori, ad Alfonso Alberti, Marco Angius, Gian Paolo Minardi e Curtis Roads; due approfondimenti dialogici con lo stesso compositore e con Angius; quattro conversazioni con i suoi interpreti storici: Irvine Arditti, Mario Caroli, Garth Knox, Ciro Longobardi; un’appendice conclusiva su un’installazione intermediale curata da un musicologo, Lombardi Vallauri, un critico letterario, Fabio Vittorini, e una storica dell’arte, Francesca Pola. -
Jia Ruskaja (Kerč’, 6 gennaio 1902 - Roma, 19 aprile 1970) è stata una danzatrice, coreografa, teorica della danza italiana; ha fondato l’Accademia Nazionale di Danza e la Fondazione dell’Accademia Nazionale di danza. È stata la donna che ha intessuto rapporti pubblici e privati con le maggiori personalità della cultura coreutica, artistica e politica del Novecento italiano ed internazionale. Diva e icona glamour della danza libera italiana, nonostante le origini tartare è da considerarsi a tutti gli effetti un’artista nostrana. L’intelligenza, la sagacia nonché la personalità volitiva, le hanno concesso di entrare nel mondo coreutico pur non essendo una danzatrice di formazione, percorrendo con disinvoltura gran parte del Novecento a partire dagli anni del futurismo, per ritrovarsi regina della danza nel ventennio fascista. «Danzatrice e poetessa della danza, è una creatura molto interessante, una personalità. Personalità ineguale e attraente che fonde in un’armonia maravigliosa di linee fisiche e spirituali aspetti vari e mutevoli di una figura e di un carattere. È la sintesi compiuta e inquadrata di varie epoche, di varie razze, di vari temperamenti; è un contrasto e un accordo», tutto questo è Jia Ruskaja: la dea danzante.
