«Requiem» per l’umanità: collettività frantumata in Ligeti

Cento anni fa nasceva a Tarnăveni György Ligeti, personaggio complesso che si nutrì della tradizione ungherese – cui appartengono anche Liszt e Bartók – per poi assorbire le nuove tecniche avanguardistiche delle esperienze di Stockhausen e Boulez a Colonia. Il suo lavoro è volto alla ricerca appassionata di una nuova dimensione spazio-temporale, dove il suono è una realtà vibrante nel fluire del tempo. Questo è plasmato nel collasso della struttura con l’avvicendarsi di apparizioni e sparizioni esaltate nel loro carattere performativo, anche in parvenze teatrali.

La ricerca musicale di Ligeti è un tornare all’apparente immobilità del tempo della sorgiva infanzia, vissuta in un piccolo villaggio. A Cluj sembrava non accadere nulla e la stasi e l’inconsapevolezza del dolore rendeva impercettibile la brutalità che affliggeva il mondo.

Alcune musiche di Ligeti, tra cui parte del Kyrie del Requiem, sono state scelte da Stanley Kubrick per la colonna sonora del suo 2001: Odissea nello spazio.

Requiem

Il Requiem per soprano, mezzosoprano, due cori e orchestra è stato composto tra il 1963 e il 1965. La presenza di sole tre sezioni (divise in quattro movimenti: Introitus, Kyrie, De die iudicii sequentia e Lacrimosa) della tradizionale messa funebre esclude la destinazione liturgica della composizione.

Ligeti, di origine ebraica, non praticante, con questo Requiem propone una riflessione sulla morte. Affascinato dalla “terrificante” immagine del Giudizio Universale di cui è pregno il testo del Dies Irae, nella composizione musicale lo arricchisce di drammatici interrogativi.

Introitus

Aprono il movimento i tromboni in sordina su un accordo dissonante (fa diesis-sol), su cui si inseriscono i bassi del Coro I. Questi si dipanano in quattro linee melodiche, basate su minimi spostamenti cromatici. In partitura è stabilita la scansione temporale, ma l’andamento ritmico delle linee attraverso l’uso di gruppi irregolari e sincopi asimmetriche concorre ad annullare il concetto tradizionale di suddivisione in tempi forti e deboli.

Il tessuto micropolifonico delle voci è sostenuto da pedali di un’insolita strumentazione orchestrale comprendente doppio trombone, doppio basso tuba, doppio fagotto e doppio clarinetto basso. Ciò non crea solo suoni molto gravi ma anche timbriche peculiari. La dinamica è limitata tra il pppp e il p. Essa, insieme alla sovrapposizione delle micro-oscillazioni delle linee che producono sensazioni uditive simili ai battimenti, e con i pedali orchestrali e l’annullamento di scansione ritmica conferisce all’ascoltatore la distanza spazio-temporale che il compositore suggerisce in partitura con l’iniziale Wie aus der Ferne (“Come da lontano”).

La sonorità aumenta poi con l’entrata all’unisono dei tenori e contralti in sovrapposizione ai bassi sostenuti dal timbro più chiaro di corni e trombe. Ancor di più si rafforza con l’entrata di mezzosoprani e soprani significativamente alle parole “Et lux perpetua”, lasciando risuonare solo le voci femminili sostenute da un tessuto di note lunghe tenute.

Kyrie

Differentemente dal precedente, questo movimento ha un carattere più melismatico e un andamento più dinamico. Le voci si muovono per intervalli più ampi (fino ad ottave diminuite e none minori) verso il climax dove i soprani raggiungono la nota più alta (Si bemolle). La maggior estensione vocale è sostenuta dall’amplificazione timbrica determinata dal raddoppio strumentale.

Intensificate sono anche le indicazioni dinamiche, timbriche ed espressive scritte in partitura. Le modalità esecutive proposte dal compositore (impercettibilità del cambio dell’arcata per gli archi ed unica presa di fiato per i fiati) sono volte ad evitare ogni possibile accentuazione ritmica, conferendo una pulsazione lenta ed irregolare come a creare una massa brulicante di suoni senza tempo.

Il Coro I procede per canone, intonando simultaneamente le due parti del testo, “Kyrie eleison” e “Christe eleison”. Ogni voce della sezione inizia sulla stessa nota e canta la stessa melodia ma con velocità differente, andando a creare un tessuto sonoro simile a quello micropolifonico dell’Introitus.

De die iudicii sequentia

Dopo la nuvola sonora dell’Introitus e del Kyrie, con un subito, agitato molto il tono del Requiem cambia repentinamente con un’esplosione dinamica e timbrica. L’orchestra irrompe con un fortissimo dei fiati e, ampliata dall’aggiunta delle percussioni, assume un ruolo più rilevante ed indipendente.

Nonostante rispetto ai precedenti movimenti sia presente anche il Coro II, la massa sonora sembra minore per via della brevità degli interventi e dei contrasti che si susseguono. All’ascolto il testo si sgretola e rimane lo stato d’animo che il suo significato esprime. Dall’orrore, alla paura, si giunge all’estasi, in un viaggio emozionale nel passaggio dalla vita terrena all’eternità.

Attraverso la tecnica dell’hoquetus il compositore procede per estremi: veloce e lento, forte e piano, acuto e grave, solo e polifonico, archi e fiati. L’ascoltatore è così travolto in un vortice che ha il suo culmine quando i soprani raggiungono la nota più alta (Mi bemolle). Risponde un grande rimbombo dei contrabbassi all’ottava ancora più grave, per sfumare in un passaggio corale più sommesso e micropolifonico che prepara l’inizio del Lacrimosa.

Lacrimosa

Il clima del Lacrimosa di Ligeti è completamente diverso da quello precedente, grazie alla sonorità trasparente degli ottavini e del flauto sostenuti da un pedale di contrabbassi. All’introduzione strumentale si amalgamano le voci soliste femminili che entrano su un Fa diesis, sostenute dagli archi sulla stessa nota in quattro ottave. L’intersecarsi delle linee melodiche del soprano e del mezzosoprano ricorda dei bicinia micropolifonici. Questi sono colorati da pochi momenti di consonanza in unisono, ottava o quinta, che risaltano proprio perché immersi nell’andamento fortemente dissonante (all’inizio delle parole Lacrimosa, Judicandus, Deus, Pie).

L’indicazione finale morendo… niente… sulle note tenute in ppp dell’orchestra porta ad un progressivo spegnimento timbrico per lasciare solo il clarinetto basso e clarinetto contrabbasso perdersi nella pausa Senza tempo conclusiva.

L’assenza dei due ampi cori in questo movimento accentua il senso di solitudine del peccatore. Egli, nella sua fragilità umana, si rivolge a Dio cercando il perdono. Questa scelta, colma di ambiguità, non offre quella che sarebbe potuta essere una riunione della collettività. Quest’ultima, sin dal primo movimento, sembra compiere un percorso verso la propria frantumazione, esplosa nella teatrale violenza di squarci orchestrali e fiamme corali del Dies Irae lacerando l’ostinata continuità del tessuto musicale ligetiano.

Lux aeterna

L’anno successivo al completamento del Requiem, Ligeti compone Lux Aeterna su parte del testo del Communio. Quasi a cercare una risposta – o risoluzione – alle ambiguità del Lacrimosa finale. L’umanità del Requiem è dispersa in una visione della morte come evento tragico, concretizzato nella discordanza e nel disordine della distruzione della forma. Nel Lux aeterna, invece, sembra essere attratta da una preghiera di pace. Essa si rivela essere muta di fronte alla morte, la quale, impercettibilmente, si insinua nel fluire continuo del tempo. Le 7 battute finali di pausa del Lux aeterna, però, sembrano affermare ciò che il Lacrimosa aveva già anticipato, ossia l’unica possibile risposta musicale al lacerante dolore umano: il silenzio.

 

Chiara Apa