Storia di un successo “pop”: Rachmaninov e il Concerto per pianoforte op. 18 n. 2

È il 1873 e nella tenuta di campagna di Oneg, piccola città a nord-ovest della Russia, nasce Sergej Vasil’evič Rachmaninov, considerato una delle ultime incarnazioni della figura di concertista-compositore dell’epoca tardo-romantica. In seguito a quel Romanticismo che aveva avuto fra i suoi protagonisti compositori del calibro di Schumann, Chopin, Liszt e Brahms, Rachmaninov si forma e porta avanti la sua carriera artistica dapprima a San Pietroburgo, poi a Mosca, e infine negli Stati Uniti, dove morirà nel 1943.

Se da un lato Rachmaninov incarna in pieno il Sehnsucht tardo-romantico attraverso un linguaggio autonomo, dall’altro è stato spesso criticato per non aver cavalcato l’onda dei nuovi linguaggi avanguardistici: i meccanismi compositivi da lui impiegati, infatti, vertono il più delle volte su un recupero di melodie slave e russe, popolari o colte, dal “gusto” più occidentale.

L’anno corrente rappresenta il 150° anno dalla nascita di Rachmaninov: l’Istituzione Universitaria dei Concerti lo scorso 7 marzo ha messo in scena il terzo dei cinque concerti intitolati Absolute Rachmaninov. Questi concerti hanno portato e continueranno a portare, sul palcoscenico della Sapienza, l’integrale dell’opera pianistica del compositore russo, le cui rappresentazioni si concluderanno nella stagione 2023/2024.

Il debutto

Nella sera del 9 novembre 1901 l’orchestra della Società Filarmonica di Mosca era pronta per esibirsi, il pubblico con trepidazione attendeva l’ingresso del direttore d’orchestra Alexandr Ziloti e di Rachmaninov, interprete e star indiscussa della serata.

Il fermento del pubblico non era una casualità: appena un anno prima, Rachmaninov aveva presentato il secondo e terzo movimento del suo Secondo Concerto per pianoforte presso la Sala della Nobiltà di Mosca, validando il suo grande talento. All’indomani dell’esibizione, infatti, il critico Lipa’ev sul suo giornale scriveva:

[…] Da molto tempo le pareti della Sala della Nobiltà non vibravano per un tale entusiastico e scrosciante applauso come quella sera. […] Quest’opera ha in sé grande poesia, bellezza, calore, ricchezza nell’orchestrazione, sano e alto potere creativo. Il talento di Rachmaninov è ormai completamente evidente.

Ad una prima valutazione potremmo affidare al Secondo Concerto il ruolo emblematico di aver sugellato il successo di Rachmaninov tra il grande pubblico; ma c’è molto più di questo. L’inaspettata fama gli diede la spinta per continuare a dedicarsi all’attività compositiva e uscire dalla crisi depressiva vissuta in seguito al fiasco della prima Sinfonia del 1897, superata grazie alle cure del dott. Dahl, dedicatario del concerto.

Ti racconto il concerto

In sala le luci si abbassano, tra il pubblico cala il silenzio; direttore, orchestrali e solista sono pronti. Così, le mani poggiate sul pianoforte danno vita al primo accordo, enfatizzato dal Fa grave che rimbomba in un pianissimo a poco a poco crescente. Nell’arco di appena otto battute, accordi a piene mani si avvicendano fino a distendersi in arpeggi pieni di passione sul Do minore (tonalità di impianto). Il movimento, giocato sul contrasto fra due temi – il primo affidato a violini, viole e clarinetti e il secondo, dal carattere cantabile, al solista – ricalca la struttura della forma-sonata, disattendendo, però, spesso, le aspettative dell’ascoltatore con l’aggiunta di elementi inattesi.

Ne sono un esempio una terza idea tematica, basata sull’imitazione del materiale sonoro tra solista e orchestra, proposta quasi al termine dell’esposizione, e lo sviluppo, dove Rachmaninov rielabora quanto precedentemente esposto e sorprende con nuovi materiali tematici. La terza e ultima parte – la ripresa – si dispiega in un tempo Maestoso (alla marcia) dove la coda virtuosistica del pianoforte conclude maestosamente il movimento insieme all’orchestra.

Il secondo movimento

Il secondo movimento, Adagio sostenuto, con il suo profilo melodico carico di fascino, porta l’ascoltatore ad un livello espressivo più “intimo”, senza mai drammatizzare eccessivamente. È lo stesso Rachmaninov a parlarne in un’intervista in cui afferma:

[…] Preferisco far evolvere il mio materiale tematico lentamente, senza eccessiva aggressività o eccessiva enfasi. Non drammatizzo. Invito l’ascoltatore a drammatizzare nella sua mente con colori avvolgenti.

All’ascolto del movimento tutto ciò appare evidente. Nella parte iniziale il tema è conteso tra più strumenti: inizialmente dialogato tra flauto e clarinetto, poi rubato dal solista che, in un secondo momento, lo cede ai violini primi. La sezione centrale porta ad un episodio di transizione più animato e, successivamente, a uno virtuosistico in cui il pianoforte risulta protagonista assoluto e ribadisce la sua brillantezza con una lunga cadenza. La parte conclusiva è caratterizzata da una coda in cui l’elemento sovrano è – ancora una volta – l’arpeggio, rimarcato anche da flauti e clarinetti che accompagnano il tema esposto dai violini.

Il terzo e ultimo movimento, Allegro, si apre con andamento di marcia agli archi i quali, dopo una serie di accordi in fortissimo con l’intero organico orchestrale, lasciano spazio al pianoforte che sfoggia tutto il suo virtuosismo esponendo il primo tema. Attraverso una transizione (Meno mosso) si arriva al secondo tema (Moderato) che presenta un carattere più cantabile rispetto al primo, affidato questa volta ad oboe e viole con il sostegno di corni e bassi pizzicati. È qui che si gioca l’unicità del movimento: in esso è insito una continua ricerca di equilibrio tra momenti più virtuosi, brillanti e giocosi, e momenti più introspettivi, che culmineranno, in ogni caso, nel trionfale finale Risoluto.

Riflessi pop

La fama del Secondo Concerto non si limita ai tempi coevi a Rachmaninov, anzi è tale che continua a riecheggiare tutt’oggi. Secondo Glen Carruthers essa è attribuibile al fatto che «[…] in ogni movimento compaiono melodie memorabili. Non è solo l’anticipazione e l’arrivo di queste melodie che è soddisfacente, ma anche la loro successiva elaborazione». Il musicologo, di fatto, individua nella riconoscibilità e ripetizione dei materiali tematici la chiave del successo, amplificata dai meccanismi di riuso delle melodie in composizioni coeve o successive – come accade nella Sonata per violoncello e pianoforte op. 19 eseguita, non a caso, la sera del 9 novembre.

È evidente che l’ascoltatore viene immerso in un processo di decodifica sonora immediata, che gli permette di far suo il materiale tematico e riconoscerlo.

A dimostrazione di questo “fenomeno pop” si palesano di fronte ai nostri occhi le svariate incursioni e appropriazioni del concerto da parte dei nuovi linguaggi musicali e mediali.

Il cinema rappresenta sicuramente il primo mezzo d’elezione: Brief Encounter (1945) se ne avvale per la colonna sonora che accompagna, come una sorta di leitmotiv, i due protagonisti nei momenti carichi di tensione emotiva. In Quando la moglie è in vacanza (1955), invece, Rachmaninov è preferito a Stravinsky per sedurre la ragazza interpretata da Marilyn Monroe; il protagonista, Richard Sherman, immagina l’arrivo della ragazza che si abbandona alle sue labbra all’ascolto di quella musica che la «scuote» e le dà i «brividi».

Anche il cinema d’animazione non è esente dall’influenza rachmaniana: nell’episodio 126 di Tom e Jerry un trombone fa risuonare il secondo tema del primo movimento sottolineando un breve momento di affetto fra i due protagonisti.

Nella musica pop

Nel mondo della musica pop, la suadente voce di Frank Sinatra ci regala due brani basati sul secondo concerto: Full moon and empty arms (1945) e I think of you (1941) che prendono in prestito rispettivamente il secondo tema del terzo e del primo movimento, rielaborati sotto forma di ballate romantiche. Diverso è il lavoro svolto da Eric Carmen per la sua All by myself, scritta nel 1975 e portata al successo nel 1996 dalla cantante canadese Celine Dion: Carmen, infatti, adattò la melodia della strofa direttamente al secondo movimento del concerto, regalandoci l’esempio più limpido di intreccio di linguaggi musicali differenti. Infine, in ambito jazz molto interessante risulta il Classical Jazz Quartet, che nel 2006 ha proposto un’improvvisazione jazz utilizzando come punto di partenza il materiale tematico di ogni movimento.

Nonostante le critiche ricevute nel corso del tempo, le sue melodie riescono, dunque, ancora oggi a comunicare ed emozionare il grande pubblico: e se non questo, quale altro potere dobbiamo riservare alla musica? Non è forse la capacità di dire qualcosa di concreto a validare l’operato di un compositore? Al di là dei personali giudizi valutativi riguardo Rachmaninov, è innegabile il suo posto tra gli “immortali” della musica.

                                                                                                                               Martina Palilla