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Nino Pirrotta: un ritratto

A vent’anni dalla scomparsa, NeoClassica vuole ricordare uno dei più importanti musicologi del secondo Novecento: Nino Pirrotta. Pierluigi Petrobelli, nel necrologio che gli dedicò su Acta musicologica, esordì dicendo che «con la scomparsa di Nino Pirrotta il 23 gennaio 1998, un’era della musicologia arriva al termine; l’era nella quale la nostra disciplina, sebbene abbia al suo centro l’evento musicale, era compresa e praticata come uno scambio armonioso ma profondo fra ambiti umanistici diversi». Fu in effetti un personaggio complesso, Pirrotta, tanto complesso quanto il campo di studi che si era prescelto – la musica fra il Medioevo e il Rinascimento – e tanto articolato quanto i risultati che ottenne studiando il rapporto musica-voce e riscoprendo il melodramma degli esordi.

Nato a Palermo il 13 giugno del 1908, studiò composizione con Antonio Savasta e si diplomò in organo al Conservatorio di Palermo, laureandosi poi anche in Lettere presso l’Università di Firenze – e curiosamente, non con una tesi sulla storia della musica ma sulle ceramiche quattrocentesche, sotto la supervisione dell’influente storico dell’arte Mario Salmi.

L’incontro con la musicologia avvenne invece grazie all’intermediazione di un altro grande studioso, l’italianista Ettore Li Gotti: studiando alcune liriche del Quattordicesimo secolo, il professore palermitano ebbe la necessità di un aiutante che potesse esplorare con lui la musica composta per quelle poesie. Ne nacque Il Sacchetti e la tecnica musicale del Trecento (1935) uno dei primi volumi in cui l’Ars Nova e la musica pre-rinascimentale ottengono un giusto rilievo – era ancora quella in effetti un’epoca nella quale la musica tardo-medievale non aveva la giusta considerazione. In seguito, Pirrotta divenne uno dei più importanti studiosi di quell’era musicale: per primo studiò approfonditamente documenti musicali antichi quale il Codice di Lucca o il codice Estense Lat. 568, portando alla luce testimonianze che fino ad allora erano rimaste in ombra.

La vivacità intellettuale, l’interesse verso il rapporto parola-musica e la curiosità nei confronti di repertori non ancora esplorati, lo condussero a diventare uno dei più rilevanti studiosi della musica dal medioevo al primo barocco, come testimoniato anche da diversi suoi saggi – uno dei quali dedicato a Luca Marenzio (1973) – e uno dei suoi volumi più importanti: Musica tra Medioevo e Rinascimento (1984). Diffuse le sue scoperte sia in Italia, ricoprendo incarichi di insegnamento prima presso il Conservatorio di Palermo (1936-1948), poi all’Accademia di Santa Cecilia a Roma (1948-1955), sia negli Stati Uniti, nei quali si era trasferito nel 1956. Insegnò infatti alla Princeton University alla Columbia University e alla prestigiosissima Harvard University, all’interno della quale diventò anche preside del Dipartimento di Musica (1965-1968). Uno dei suoi volumi più importanti risale proprio a questi anni: il fondamentale Li due Orfei – tradotto anche in inglese con l’eloquente titolo Music and Theater from Poliziano to Monteverdi – è del 1970, ma rimane ancor’oggi un punto di riferimento per quanti vogliano capire la musica di quei secoli.

La sua lunga carriera proseguì presso l’Università di Roma “La Sapienza”, dove insegnò Storia della Musica dal 1972 fino al pensionamento. Innumerevoli, in questo periodo, furono i riconoscimenti che gli furono attribuiti: da un seggio all’Accademia dei Lincei, al Premio Feltrinelli per le arti, fino al Premio Viareggio per la saggistica (con il volume Scelte poetiche di musicisti, 1987). E altrettanto numerosi furono gli allievi che formò: si possono ricordare fra gli italiani Franco Piperno e Fabrizio Della Seta, che nel 1989 gli dedicarono il volume collettaneo In cantu et in sermone – For Nino Pirrotta on his 80th birthday; fra gli statunitensi Lewis Lockwood, Ellen Rosand, James Haar, Eric Salzman (recentemente scomparso), Frank D’Accone e Anthony M. Cummings, che di Pirrotta è stato anche biografo (Nino Pirrotta – An intellectual biography, 2013).