La «buffa» nobiltà di Don Ottavio nel Don Giovanni

Universalmente conosciuto e apprezzato come monumento del linguaggio teatrale settecentesco, Il dissoluto punito ossia il Don Giovanni di Mozart e Da Ponte continua, a 235 anni dalla sua composizione, a godere di un intramontabile successo, tanto dal punto di vista storico-critico, quanto da quello interpretativo, dominando le scene dei principali teatri mondiali: a tal proposito, si segnalano le recite presso il Teatro alla Scala di Milano che, a partire dal 27 marzo 2022, permetteranno di vedere rappresentato ancora una volta l’interessantissimo capolavoro. Lungi dall’assegnare rilevanza ad un prodotto artistico soltanto basandoci sul grado di apprezzamento di quest’ultimo da parte del pubblico, è chiaro che la discriminante causa di un così duraturo successo dell’opera non è da ricercarsi soltanto nelle sue peculiarità estetiche, ma si lega fortemente con la capacità che esso possiede nel fornire spunti di riflessione diversificati in base all’epoca nella quale lo si sta analizzando, sia essa la Spagna del XVII secolo – con quella che viene considerata la prima rappresentazione teatrale del racconto, El burlador de Sevilla y convidado de piedra di Tirso de Molina – o quella del mondo attuale. Tentando di chiarire meglio tale aspetto, sarà utile citare le parole di  T. S. Eliot circa il concetto di “classico” (esulato dall’ambito musicale, e riferito qui all’opera d’arte in genere), che si riportano integralmente: «We must accordingly add, to our list of characteristics of the classic, that of comprehensiveness. The classic must, within its formal limitations, express the maximum possible of the whole range of feeling which represents the character of the people who speak that language. It will represent this at its best, and it will also have the widest appeal: among the people to which it belongs, it will find its response among all classes and conditions of men» (What is Classic?, in On Poets and Poetry, 1957, p. 67). Associando, come egli ha fatto, il termine classico a quello di intramontabilità (relativamente alla capacità di far riflettere, e non all’ammirazione suscitata), è possibile allora annettere appieno il Don Giovanni mozartiano alla categoria appena delineata, per il suo saper rappresentare, ancora oggi, un caso di studio valido sotto molteplici punti di vista.

Raramente ci si interroga, tuttavia, sulle caratteristiche che permettono all’opera di essere classificata o meno entro uno specifico genere teatrale; in altri termini, essendo stato definito il Don Giovanni dagli stessi autori come un «dramma giocoso in due atti», è stata di rado problematizzata la natura dei suoi personaggi, in quanto questi ultimi apparivano, come notoriamente accadeva in seno alle “opere buffe”, diversificati sulla base del rango sociale di appartenenza: da un lato i “nobili”, coloro ai quali era da assegnare vittoriosamente la risoluzione della vicenda; dall’altra, i personaggi di basso rango, deputati alla creazione di quei momenti volti a suscitare l’ilarità del pubblico – a tal proposito, è interessante notare che il teatro settecentesco produsse svariati personaggi “buffi”, tutti però accomunati da tratti ricorrenti, quali l’astuzia, la furbizia, l’irriverenza: è noto, ad esempio, che Da Ponte conoscesse il famoso Bertoldo, al quale Giulio Cesare Croce e Luigi Ferrari Trecate dedicarono l’interessante opera Le astuzie di Bertoldo. Il Don Giovanni di Mozart e Da Ponte, però, al pari di qualsiasi altra opera d’arte alla quale è possibile accostare l’attributo di capolavoro, è capace di fuoriuscire dagli schemi ordinari, fornendo un’interpretazione più complessa di aspetti dalle sembianze quasi scontate: concentrandoci sui personaggi, cercheremo in effetti di dimostrare quanto, in realtà, ci sia di comico anche in chi, formalmente, rientra nei ruoli “seri” dell’opera, tramite un sapientissimo rimando a topoi caratteristici di altri contesti. Per fare ciò, si prenderà ad esempio Don Ottavio, delineandone in breve i comportamenti.

Il personaggio di Don Ottavio

Don Ottavio è un nobile, promesso sposo di Donna Anna: questo suo status è l’unico elemento che lo classifica agli occhi di uno spettatore. Egli, difatti, a differenza degli altri personaggi, manca di un carattere proprio: se, per esempio, osserviamo in Don Giovanni l’intraprendenza e l’amore per le donne e per la vita, in Leporello la sfacciataggine e la furbizia, in Donna Elvira la devozione per Don Giovanni e il risentimento nei suoi confronti, in Masetto la gelosia, in Zerlina l’ingenuità, in Donna Anna la rabbia e la sete di vendetta, non possiamo nominare una caratteristica autonoma di Don Ottavio, poiché tutte le sue emozioni esistono in funzione di quelle dell’amata, siano esse positive o negative. L’esempio più evidente in tal senso è rappresentato da quanto affermato dall’uomo nella sua prima aria (Atto I, scena 14), nella quale egli canta che «dalla sua pace [di Donna Anna]» dipende la propria, che «quel che a lei piace» gli dona la vita, che ogni sentimento dell’amata, sia esso «ira», «pianto», «sospiro», diviene parte integrante della sua natura.

Alla mancanza di carattere proprio, si aggiunge la sua inettitudine: Don Ottavio si dimostra, infatti, incapace di agire realmente, come è possibile notare nelle svariate situazioni emergenziali quando, al posto di fornire aiuti concreti, delega i suoi compiti alla servitù o a semplici parole. Si cita ad esempio qualche passo ripreso dal libretto:

DONN’ANNA: Padre mio!… caro padre!… padre amato!…
Io manco… io moro. (sviene)
DON OTTAVIO Ah! soccorrete, amici il mio tesoro.
Cercatemi, recatemi
qualche odor… qualche spirto… Ah! Non tardate.

(Atto I, scena 3)

 

DONN’ANNA: Don Ottavio… son morta!
DON OTTAVIO: Cosa è stato?
DONN’ANNA: Per pietà, soccorretemi!
DON OTTAVIO: Mio bene,
fate coraggio!

(Atto I, scena 13)

In sintesi, quindi, la ridicolizzazione del personaggio dipende dalla mancanza di quelle caratteristiche, morali o fisiche, che ci si aspetterebbe in un nobile “da opera seria” (coraggio, lealtà, furore), quale, apparentemente, lui vuole essere; tutto ciò è oltretutto messo in risalto tanto dal confronto con gli altri personaggi maschili – tra tutti Masetto che, pur appartenendo alla plebe, non perde occasione di battersi per Zerlina –, sia dal confronto con Donna Anna, la quale, nella coppia, è l’unica a dimostrare di avere un carattere forte e coraggioso.

Indubbiamente, accanto all’azione svolta dalla trama, un importante ruolo viene assunto dal rapporto tra versi e musica nel delineamento delle sue caratteristiche.

Versi e musica

Per quanto concerne il testo, è da notare che i recitativi e le arie ove Don Ottavio detiene un ruolo predominante rassomigliano in maniera evidente a numeri da opera seria, come dimostrano l’isometria, l’utilizzo di espressioni auliche e ricercate, l’eufonicità del linguaggio e la regolarità delle rime. Il paradosso, quindi, è evidente: se, all’apparenza (sia fisica che di linguaggio) il nobile conserva ancora le tipiche caratteristiche dei personaggi del suo stesso rango, nella sostanza, poi, manca di credibilità.

Contesto diametralmente opposto viene invece delineato dalla musica.
In primo luogo, la voce: Don Ottavio è un tenore in una posizione da personaggio non protagonista, al quale vengono attribuite principalmente parti dal carattere languido ed amoroso. Un ruolo di questo tipo non era del tutto nuovo nel panorama operistico settecentesco: nel repertorio dell’opera buffa, si era affermato infatti da tempo il “tenore amoroso”, attribuito solitamente a personaggi di classi sociali inferiori; il pubblico dell’epoca, cogliendo il rimando, poté probabilmente associare il nobile ad un livello inferiore rispetto al rango al quale egli apparteneva.
Secondariamente, è interessante riflettere sul modo in cui Mozart rende le parole a lui affidate dal librettista. Prendendo in esame le due arie del personaggio, si nota che:

  • Dalla sua pace è composta nelle modalità tipiche di un’aria da opera seria: la struttura musicale è quella classica col da capo, mentre dal punto di vista letterario sono presenti le canoniche due strofe, peraltro molto regolari. L’elemento ridicolo, quindi, è dato dal paradosso: un personaggio che canta un’aria così “seria”, in realtà non adempie ai suoi compiti da “personaggio di opera seria”.
  • Il mio tesoro intanto è un’aria con caratteristiche tipiche da opera buffa: dal punto di vista musicale, la struttura è bipartita, con un forte contrasto tra la prima e la seconda strofa; in quest’ultima, il personaggio dimostra di essere pronto a combattere, ma mancano, come già detto, azioni concrete a corroborare le sue parole.

Ironia, ridicolizzazione, sarcasmo e parodia sono quindi gli elementi dai quali non è possibile prescindere per avere una visione completa del personaggio, che non si limiti all’apparenza ma che cerchi di tenere in considerazione la riflessione svolta dagli autori ed espressa, in modo sottile, tanto nel libretto quanto nella musica.

 

Maria D’Agostino