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Addio, e grazie per la vostra musica: chi ci ha lasciato nel 2017

Benché il 2017 abbia riservato grandi sorprese al mondo della musica, ci ha comunque privato di alcune fra le più grandi personalità della musica classica. Numerosi, purtroppo, sono stati i musicisti e i musicologi che ci hanno lasciato durante quest’anno ma la cui presenza nella musica del Novecento rimarrà per sempre indelebile.

Il canto del cigno

Anzitempo, a soli 55 anni, se n’è andato il baritono Dmitri Hvorostovsky, importantissimo esecutore del repertorio russo, ma apprezzato anche come interprete verdiano e belcantistico. Altrettanto importante, ma per il suo contributo all’universo rossiniano, è stato Enzo Dara, il basso buffo che ha fatto delle sue qualità attoriali e della sua profonda voce la sua marca distintiva – memorabile il suo Don Bartolo nel Barbiere di Siviglia di Ponnelle (1972), con Prey, Berganza e Alva. Un altro basso ad averci lasciato, completamente diverso da Dara ma non meno fondamentale, porta il nome di Kurt Moll, le cui registrazioni dei classici del repertorio austriaco e tedesco (da Mozart a Richard Strauss) sono ancora dei punti di riferimento nella discografia di genere.

Fra le cantanti invece si segnala la scomparsa a 98 anni del longevo soprano francese Géori Boué (1918-2017), dopo più di quarant’anni di carriera fra ruoli sul palcoscenico e attività didattica. Di stampo e di origini completamente diverse fu invece il mezzosoprano Barbara Smith Conrad, la cui storia, immortalata anche nel documentario When I rise (2010), ci riporta alle lotte contro la segregazione razziale negli Stati Uniti degli anni Cinquanta. Selezionata per il ruolo di Didone nel Dido and Aeneas di Purcell, allestito all’Università del Texas (1957), venne esclusa perché afroamericana. Il caso scatenò uno dei più grossi scandali del mondo universitario e dell’arte operistica statunitense.

Gli strumentisti piangono la morte di tre direttori d’orchestra più che affermati: in primis Georges Prêtre, il leggendario maestro francese che ha fatto la storia dell’opera lirica del secondo Novecento, con più di settant’anni di carriera e innumerevoli incisioni discografiche, scomparso nei primissimi giorni del 2017; ma anche il direttore praghese Jiří Bělohlávek, fondatore della Prague Philharmonia e direttore emerito della BBC Symphony Orchestra, morto prematuramente a 71 anni; e infine Jeffrey Tate, il medico chirurgo inglese che a partire dagli anni Settanta decise di donarsi completamente alla musica, e la cui integrale dei concerti per pianoforte di Mozart, insieme con Mitsuko Uchida e l’English Chamber Orchestra, rimangono indelebili nella storia della musica.

Al 2018 mancherà anche Pavel Egorov, apprezzato pianista russo, docente al Conservatorio di San Pietroburgo, che fece di Schumann e di Kreisleriana uno dei suoi cavalli di battaglia.

Il lungo racconto della musica

Nel 2017 se ne sono andati anche alcuni dei più importanti musicologi occidentali. È inevitabile non ricordare la figura di Philip Gossett, statunitense di nascita ma italiano d’adozione, al quale «l’Italia deve moltissimo, ma se n’è ricordata poco», come ha detto Vittorio Emiliani. Imprescindibile studioso di Rossini e di Verdi, insegnò per lunghi anni alla University of Chicago e alla Sapienza di Roma, ritrovò la partitura del Viaggio a Reims di Rossini – ritenuta persa per quasi un secolo – diede avvio alla serie di edizioni critiche di Giuseppe Verdi: un figura il cui peso è per ogni amante del melodramma italiano è innegabile.

Tanto importante per Gustav Mahler, quanto Gossett lo fu per Rossini, è stato Henry-Louis de La Grange, il musicologo francese a cui si deve la prima, fondamentale e monumentale biografia del compositore austriaco; allievo fra gli altri anche di Nadia Boulanger, a La Grange si deve la riscoperta e la diffusione delle sinfonie di Mahler, e molta parte di quella che è stata chiamata la Mahler Renaissance.

Distante dal metodo e dagli interessi di La Grange e Gossett fu invece Peter Kivy, scomparso a 84 anni, dopo aver lasciato un’impronta decisiva nella filosofia della musica del Novecento. Tanto seguito quanto discusso, Kivy ha animato la filosofia della musica statunitense attraverso una cospicua quantità di scritti, fra i quali l’ormai famosa Filosofia della musica, tradotta anche in italiano da Einaudi.

Fra gli italiani un estremo ricordo va a Mario Bortolotto, «musicologo affabulatore», come l’ha chiamato Carla Moreni, profondo conoscitore di tutta la musica occidentale ma in particolar modo della musica germanica di fine Ottocento (a lui si deve la curatela degli Scritti sulla musica di Nietzsche, ad esempio); a Luigi Ferdinando Tagliavini, professore emerito all’Università di Friburgo, che si deve ricordare per l’attenzione e la cura che ha dedicato alle musiche per tastiera da Frescobaldi a Bach; e ancora a Luigi Pestalozza, storico della musica – come amava definirsi – e politico militante, passato dalla lotta partigiana dietro le barricate milanesi, alla docenza presso l’Accademia di Brera.